#Firenze 2015 – Diario dal Convegno ecclesiale

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Per tutta la settimana pubblichiamo il diario quotidiano di Giacomo Liporesi e i contributi di Ilaria Balboni, delegati diocesani al Convegno Ecclesiale Nazionale Firenze 2015. Buona lettura!

GIORNO 5 (13/11/2015)

laici

Sveglia alle 6.35 dopo aver dormito due ore e mezza. Sulla strada per la chiesa di Ognissanti incontro Ilaria (di Todi) e facciamo la strada insieme: confronto sul nostro essere giovani delegati e sulla preparazione a casa. Messa votiva dello Spirito Santo: da Firenze ripartiamo verso tutte le nostre diocesi a portare e dare attuazione quanto vissuto e elaborato in questi giorni. Dopo la Messa, incontriamo Tommaso (che ha avuto la fortuna di essere nel gruppo degli Uffizi ieri pomeriggio: Galleria deserta a causa di un’assemblea sindacale!). Scopriamo di aver visto praticamente tutti le stesse due mostre… Poi ci raggiunge e salutiamo anche don Marco. Rientro un attimo in chiesa per dare un’occhiata a quadri e affreschi e ascolto il vescovo Tremolada, ausiliare di Milano, dare linee e indicazioni per la recezione ai cinquanta delegati milanesi (cose in realtà molto semplici: cosa mi porto a casa da questo convegno, disponibilità per incontri… non sento parlare di collaborazione “sinodale” con il vescovo, almeno nei pochissimi minuti in cui passo dalla navata, ma in ogni caso è già qualcosa).

In albergo ne parlo anche con i delegati faentini (con cui in questi giorni si è creato un bel rapporto, anche conviviale), facendo anche riferimento alle indicazioni di Galantino che auspica un cammino sinodale a livello diocesano o regionale per la recezione del convegno e al desiderio, inattuato, emerso quando ci eravamo visti a marzo, noi tutti delegati emiliano-romagnoli, a Bologna, di rivederci prima del convegno. La loro simpatica presidente diocesana mi risponde che spera nel nostro nuovo vescovo, affinché possa irraggiare buone prassi esemplari su tutta la regione! Colazione al termine della quale il mio compagno di stanza, Paolo (ex presidente AC di Pinerolo) viene a salutarmi: in questi giorni ci siamo visti poi poco ma è stato un confronto interessante. Il nostro ottimo volontario (San) Maurizio regala a tutti un DVD dell’Ufficio Scuola delle diocesi toscane (Percorsi didattici sull’Annunciazione tra passato e presente): don Roberto nel frattempo gli ha portato un nostro presentino, poca cosa in realtà davanti alla cura premurosa con cui ci ha accompagnati! Chiudo la valigia cercando di concentrare tutti i pesi (libri in primis) nel trolley e di alleggerire le tracolle. Poi ci dirigiamo tutti verso la Fortezza da Basso, carichi come dei muli. Un po’ di foto ricordo davanti alla Fortezza e poi tutti a depositare i bagagli nel guardaroba. Incontro di nuovo i delegati di Genova: oltre alla rappresentante del CIF, sempre molto fiduciosa nel mio prossimo impegno politico (…), il signor D’Ambrosio su cui ieri sera, a Santa Croce avevamo disquisito sulle norme relative ai secondi nomi e al quale la signora aveva obiettato: “Ma questo ragazzo studia giurisprudenza!”. Molto bene, oggi scopro che il signore è (o è stato) pubblico ministero alla Corte di Cassazione (in realtà l’ufficio si chiama con un nome diverso, ma gli spiego che ho la scusa di aver letto solo la metà del manuale di procedura penale e quindi di non aver fatto le impugnazioni…). Pensavo di aver marinato l’Università in questa settimana, ma tra docenti di Costituzionale e magistrati qui non si scherza…

La preghiera iniziale ruota intorno alla Trasfigurazione secondo Luca, commentato in modo molto toccante da suor Rosanna Gerbino: ripartiamo dal gesto liturgico del bacio dell’Evangeliario, per riappropriarci (in senso buono) della Parola di Dio, poiché è il Padre infatti che ci educa (dicendo “Questi è il Figlio mio…”), gli “otto giorni dopo” fanno riferimento all’invio dei discepoli in missione e alla domanda “La gente, chi dice che io sia?” (cui Pietro risponde con la sua confessione) e anticipano l’ottavo giorno della Resurrezione (in cui le donne sveglie fin dall’alba si contrappongono ai discepoli oppressi dal sonno nel Getsemani). L’ottavo giorno è la ricerca di ciò che resta (cioè l’eternità), nel quale Gesù, trasfigurato, prende con sé i discepoli (in cui noi delegati possiamo e dobbiamo riconoscerci). Mosè ed Elia non tanto come Legge e Profeti quanto come anticipi della redenzione trasfigurante (il carro di fuoco di Elia e soprattutto la morte di Mosè con la luce negli occhi, mancato ingresso nella Terra Promessa necessario perché gli altri si accorgano che essa è dono). Infine: Pietro vorrebbe congelare l’esperienza della Trasfigurazione, con le sue tende, mentre invece nessuno può fare una casa a Dio; l’annuncio parte dal silenzio; solo Lui è il vero trasfigurato che passa dalle nostre oscurità, dai nostri sonni. Conclude il vescovo Spinillo di Aversa che ci ricorda di essere stati qui convenuti dall’amore di Dio e di rendere perciò grazie alla nostra Chiesa.

Ecco ora i maxiriassunti delle relazioni che nella notte hanno condensato le sintesi delle diverse sale per ciascuna via (il pochissimo sonno accumulato mi ha reso un po’ difficile prendere appunti di senso compiuto…).

Don Duilio Albarello, sull’USCIRE (con qualche caduta nell’ecclesialese…). Umanità in uscita, come stile del battezzato, che passa da luoghi, fra cui anche la comunità ecclesiale. Esigenza di conversione all’essenziale. Eucaristia come luogo formativo dell’uscire. Centralità della cura di chi è ai margini. Giovani come prima risorsa, perché sempre in uscita, mentre troppo stesso le comunità tendono a frenarli nell’ansia di serrare le file. L’arrivo dei migranti ci mette alla prova nei fatti: occorre passare dall’accoglienza all’inclusione. Ci sono dunque delle realtà di uscita, ma molto resta da fare. Ritorniamo a guardare alla dimensione umana di Gesù. Dobbiamo uscire da noi stessi, fare un falò dei nostri divani (applausi!): siamo un popolo in cammino, non in ricreazione!!! Esigenze: mappare il territorio (antenne sociali disseminate per portare nelle comunità domande inespresse), riscoprire che i laici non sono chiamati ad essere solo operatori pastorali (!), presenza di educatori di strada e della notte, valorizzare il ruolo dei diaconi permanenti, rilanciare gli organismi di partecipazione (tramite della corresponsabilità), rete fra le realtà locali (il solito sito per scambiarsi le buone prassi di uscita, che emerge da quasi tutte le relazioni… come dice padre Carlo, di questo passo troveranno un lavoro fisso alla Vaticantwitter ufficiale Francesca Triani), rilanciare i fidei dona, ma come esperienza diocesana più che personale (!). Tre linee direttive:

1) avviare un cammino sinodale,

2) formare all’audacia di una testimonianza capace di coltivare le domande,

3) promuovere il coraggio di sperimentare (drappello di esploratori del territorio).

Flavia Marcacci, sull’ANNUNCIARE (che intervalla alla relazione la proiezione di qualche foto o di qualche frase, per estratto, uscita dalle sale di lavoro). Partire dall’Annunciazione (Rallegrati, piena di grazia…), con la sua gioia, perché, nei vari tavoli, partire dal Vangelo ha dato gioia, gioia che va condivisa (“La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”, dice Benedetto XVI). Ascoltare prima di comunicare. La dottrina è carne (qui c’è lo zampino del papa…): come portarla ai lontani? Riscopriamo la centralità del kerygma (anche questo il papa ce l’ha ripetuto) e accompagniamo concretamente per donare Gesù agli altri: bisogna prima conoscere gli uomini e poi ritornare alle radici dell’umano, perché la Chiesa sia una Chiesa di inclusione. Sapersi amati ci fa ritornare alle nostre motivazioni. Quali i problemi? Devozionismo, autoreferenzialità e clericalismo (e guarda caso, scrosci di applausi anche qui…). Radichiamoci in Cristo già risorto e fonte della gioia: la Chiesa assuma di più il suo volto di madre. Quali le attenzioni da assumere? Passare dall’evangelizzato all’evangelizzatore, ripensare il sistema formativo di preti, ministri e laici, adottare linguaggi chiari, profondi, semplici e diretti, rinnovare gli itinerari (non corsi ma percorsi).

In che cosa deve consistere, dunque, l’annunciare? Risposte: centralità del Vangelo, da leggere e attuare, imparare ad ascoltare più che a dire, inclusione, saper abitare i social, valorizzare stampa e media cristianamente ispirati, riscoprire il primo annuncio come percorso di fondo per tutti noi, ravvivare la consapevolezza battesimale (estendendo il compito di annunciare a più soggetti). L’annunciare è una via che si integra con le altre quattro. Nel post-convegno: piccoli gruppi per lavorare su proposte e soluzioni.

Adriano Fabris sull’ABITARE (che parla sempre con le slide sotto, e che prende con molta autoironia il fatto che spesso ci sia uno sfasamento tra quello che dice e la slide sotto… chissà perché sono gli appunti che ho preso meglio!). È il lievito madre. Si abitano soprattutto le relazioni. Ma non siamo al punto zero. Abitare è farsi abitare da Cristo. In tutti i tavoli sono riemersi sempre questi quattro verbi:

1) ascoltare,

2) lasciare spazio all’altro, dalla famiglia in su (e su questo il tavolo giovani ha parlato di “fare pace con un mondo adulto che nega fiducia a noi giovani e al contempo non esita a scandalizzarci ogni giorno”: parole che Giuseppe ha trovate giuste ma durissime, e che ritengo molto interessanti, perché non vengono da un gruppo di anarcoidi rivoltosi, ma da giovani di fede matura, ecclesialmente impegnati, inseriti nelle strutture… e questo fa pensare, oltre a suscitare molti applausi!),

3) accogliere (che significa permettere a tutti di poter restituire ciò che si è ricevuto: aggiungerei io, significa non creare il doppio binario dei cristiani di serie A, muniti degli strumenti per spendersi a favore degli altri, e cristiani di serie B, cui la Chiesa può solo versare olio e vino sulle piaghe ma che non rende capaci di rialzarsi e di camminare per essere anch’essi buoni samaritani…),

4) accompagnare e fare alleanza (pastorale del condominio, e politica da vivere in chiave davvero comunitaria, accompagnando i decisori anziché delegare per poi disinteressarsi).

Si chiede un uso dei beni amministrati dalla Chiesa che sia conforme all’insegnamento del Vangelo (ovvi scrosci di applausi) e che essa sia al passo con gli umili (perché o sarà sinodale o non sarà), caratterizzata da disinteressato interesse, capace di abitare in unità e di mettere in cattedra chi è ai margini.

Suor Pina Del Core sull’EDUCARE (molto pane al pane). Anche qui si sottolineano gli scambi di buone prassi e dei passi compiuti e da compiere. Educare è questione decisiva per tutti, ma la comunità cristiana ha su questo un mandato particolare. La sfida educativa è luogo privilegiato d’incontro nella società. Non siamo all’anno zero (lo ripetono un po’ spesso… sarà una polemica velata contro Santoro?). Bisogna puntare su un’educazione integrale (l’uomo non è fatto a compartimenti stagni!) e sulla credibilità dell’educatore, che sia esempio di umiltà e di beatitudine, vissuta e incarnata nell’essere compagno di viaggio. Quali le difficoltà: eccessivi attivismo e burocratizzazione, intellettualismo slegato dalle esperienze. I tre orientamenti su cui ripensare le prassi e le linee di azione:

1) comunità che educa (alleanze educative, pastorale integrata e d’ambiente, tavoli di scambio delle buone prassi, cura delle relazioni),

2) formazione degli adulti, intesi, credo, in senso lato, come tutti i soggetti potenzialmente educatori (autoformazione degli educatori, accompagnamento delle famiglie, su cui non ci si improvvisa, educazione alla genitorialità, pastorale d’ambiente nella scuola e nell’Università, rivedere iniziazione e catechismi, educazione alla cittadinanza, all’affettività, alla sessualità, formazione comune di laici e presbiteri: e su questo scrosciano gli applausi),

3) apporto degli ambienti digitali (incontro fecondo tra arti, Vangelo, nuovi linguaggi, educazione).

Le proposte: reti educative che coinvolgano anche la società civile, migliorare la formazione degli educatori (e qui parla di selezione, su cui mi permetto di dissentire, ritenendo che non serva tanto selezione, che pure deve esserci, a tutela degli educandi, quanto aumentare gli strumenti a disposizione degli educatori, a cui si chieda soprattutto buona volontà), équipe formative familiari, portale di scambio delle buone prassi.

Fra Goffredo Boselli sul TRASFIGURARE (secondo me molto brillante, ma don Matteo obietta che sta riproponendo le linee del suo ultimo libro, pur molto pregnante). È il Signore a trasfigurare noi, non noi a trasfigurare la realtà. Quali fatiche? Attivismo talvolta eccessivo, mentre emerge il bisogno (proprio dal tavolo dei giovani!) di spiritualità e di accompagnamento spirituale (oltre che, in modo meno marcato, di formazione liturgica); frammentarietà; mancata integrazione fra liturgia e vita, che è mancato coinvolgimento del credente nel mistero di Cristo: basta i barocchismi! E su questo parte un altro scroscio di applausi. Linee di azione: non dissociare la lectio divina personale dalla proclamazione della Parola di Dio nelle liturgie comunitarie, ritornare a una Parola di Dio annunciata e celebrata, vivere la liturgia come festa del popolo di Dio. Tre consegne.

1) Il rinnovamento liturgico conciliare (leggi: la novità nella liturgia) è una realtà in atto, la liturgia è la prima fonte della vita cristiana (per cui sia munita di una bellezza, purché bellezza semplice), ed ha il pregio della gratuità (e quindi misura il nostro essere Chiesa), la famiglia sia quindi il luogo primo dove imparare la liturgia.

2) La Chiesa che celebra e prega è anche in uscita: Cristo vivente celebrato e pregato va riconosciuto nel povero che è Suo primo sacramento. La liturgia è sempre più soglia del mistero di Dio: la catechesi sacramentale è sempre più missionaria, la richiesta, legata all’uso sociale, dei sacramenti, non va assecondata, ma tuttavia è una grande occasione per discernere quel residuo, confuso, di trascendenza, che anche molti “lontani” conservano ancora davanti al mistero della vita, dell’amore che impegna, della morte. Le liturgie attraversino la vita quotidiana e le tradizioni locali. Siano più umane.

3) Far vivere l’umanità della liturgia, esperienza dell’umanità perfetta di Dio fatto uomo. Il Cardinal Martini parlava di liturgia come continuazione dei Vangeli. La santità della liturgia va declinata in santità ospitale. Bisogna saper portare la fatica di chi fatica a vivere e a credere: liturgia ad immagine di Gesù che dice: “Venite a me io vi darò ristoro…”.

Infine le PROSPETTIVE del Cardinal Bagnasco: sottolinea l’impegno degli uomini e delle donne del Convegno anche a favore del bene del Paese. La Chiesa italiana ha assunto il percorso del convegno e lo ha fatto proprio: portiamo il Vangelo agli uomini di oggi. Ringraziamenti al sindaco Nardella e al presidente Mattarella. Poi ringrazia i volontari (e qui… di fronte agli scrosci di applausi, si lascia andare a una smorfia di approvazione compiaciuta e a un battimani che dura due minuti buoni!). Ci sono disponibilità all’incontro e al dialogo con la comunità civile. Esigenza di conversione, condivisione di buone prassi, corresponsabilità gli uni degli altri. Non ci sono lontani troppo distanti ma solo prossimi da raggiungere. L’EG va ripresa nelle comunità, per discernere e attuare. Riprende vari punti della descrizione sociologica fornitaci mercoledì dal prof. Magatti. Ricorda che ogni anno le Caritas forniscono 6 milioni di pasti, e tutta una serie di altri numeri di cui perdo traccia. Bisogna uscire anche dall’invisibilità. Riprendendo il buon Francesco, parla di via della beatitudine e si rifà alla confessione del centurione (“Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”): è proprio nella massima debolezza di Gesù che sta il massimo della sua rivelazione. Invita a non perdere lo spirito e il valore della gratuità, fattore che definisce tipicamente italiano (e io non sono mai stato, anche per ovvie ragioni, particolarmente sciovinista, patriota o italofilo, ma riconosco che, accanto a tanti nostri difetti radicati, c’è anche una sensibilità comune molto marcata in questo senso: e che Bagnasco si sbilanci così è molto interessante!). Dobbiamo vivere in uno stato di continua missione, cui il papa ci sprona. Prestissimo uscirà un testo unico dei frutti del sinodo (sperando che sia scritto un po’ meglio degli ultimi testi unici del legislatore, aggiungerei io, ma questa è deformazione professionale). Propone alcune sottolineature (ma da Genova dicono che spesso è molto bravo a cambiare all’ultimo momento i suoi discorsi per riassestarsi su quanto detto da altri prima…).

Uscire: non solo essere accoglienti, ma anche uscire e andare (la famosa “Chiesa lieta e accidentata” dell’EG, a immagine del Samaritano), mossi da ansia apostolica (per essere ponti fra Cristo e il prossimo) e pieni di audacia e coraggio di sperimentare, come è emerso dalle voci giovani (urrà!).

Annunciare: la testimonianza è gesto ma anche annuncio. Citando Madeleine Delbrêl, dobbiamo sentirci “ghermiti” dal suo Vangelo. Non basta (e su questo “non basta” si incarta ripetendolo tre o quattro volte perché non trova il foglio successivo, scatenando un applauso di incoraggiamento che lo costringe a sorridere bonario) essere dottori di fede: siamo dunque uomini di fede, perché annunciare pasqualmente non sempre è automatico, anche quando si conosce bene la teologia. Serviamoci con sapienza e senza timore delle nuove tecnologie (su questo mi sentirei anche abbastanza ottimista, visto l’approccio molto social-digital del convegno e i vescovi sempre attaccati allo smartphone…).

Abitare: dobbiamo essere radicati nel territorio, altrimenti la Parola di Dio suonerà come parola vuota. Questo è il compito primario dei laici, a dispetto di ogni tentazione di clericalismo, ma purtroppo (a suo “modestissimo parere”) è venuto un po’ meno, e non per colpa “vostra” (e qui scrosci di applausi, tendenzialmente solo da parte dei laici…). Però, aggiunge, “non tiratevi del tutto indietro quando vi chiediamo una mano in parrocchia” (giustamente!). Questo compito comporta un impegno politico, sia in senso ampio, a servizio del bene comune, sia in senso partitico. Impegno del cattolico nel pubblico sia coerente e trasparente! E al contempo (e lo inserisce qui, e non negli appunti sul trasfigurare: un motivo ci sarà) i giovani hanno chiesto maggior impegno spirituale da parte delle comunità.

Educare: Romano Guardini parla di “accendere la vita”. Educare è liberare le coscienze. Anche se è difficile, c’è una fortissima richiesta dai gruppi di fare rete. Dobbiamo riscoprire non tanto l’esistenza di Dio (come ai tempi dello scontro con gli ateismi ottocenteschi), ma il fatto che Lui c’entri con la nostra vita, perché tutti, nessuno escluso, siamo esposti a questo ateismo di fatto.

Trasfigurare: tutti siamo un po’ malati di attivismo pastorale e preme non dissociare vita e liturgia.

In soldoni, spera che sia emerso l’orizzonte della missionarietà. Ribadisce che non c’è educazione non fondata su Gesù Cristo (e allora, mi viene da pensare, il mio intervento della mattina prima sul grande valore di una sana educazione umana in famiglia, anche se non cristianamente etichettata, va proprio fuori dai binari del Convegno… ma poi mi rendo conto che Cristo è presente nei valori che trasmettiamo, anche quando ne siamo ignari… e poi, a pranzo, andando a prendere il dolce, un convegnista mi ferma per dirmi che era nella mia sala e che il mio intervento sulla famiglia è stato il più bello in assoluto… sarà… umiltà che già sei tanto debole, perché devi essere sempre così messa alla prova?). Il Sinodo appena concluso rimette al centro delle cinque vie la cura della famiglia. Il convegno prosegue naturalmente nell’Anno Santo: la misericordia ha due volti, quello dell’amore come fedeltà assoluta di Dio all’umanità (ed è bello poter contare sempre su qualcuno), e quello della generatività (termine cult del convegno, oltre a sinodalità, grazie ai coniugi Magatti-Giaccardi) e della tenerezza (le “viscere” di Dio). La stile sinodale esige un metodo, concreto.

Ci saluta con un “Cari amici” (che confidenza che si è preso…): invito a tornare a casa con la voglia maturata in questi giorni. Lui e tutti i pastori sono “lieti del nostro abbraccio”, perché “ne abbiamo bisogno” (anche qui torna in mente l’immagine del vescovo sudamericano nel metrò proposta dal papa). A Francesco dice: “Le vogliamo bene” (e come non pensare a un riferimento implicito agli scandali vaticani?).

Infine la preghiera conclusiva (prima della quale riesco a salutare con lo sguardo e il sorriso Ilaria, di Lecce): cantiamo di nuovo l’inno (ne sentivamo la mancanza dopo ben due giorni…) e poi azione di grazie ritmata dai Magnificat, preghiera di supplica, segno della pace e invocazione a Maria (con azzeccatissimi echi di Paradiso XXXIII… credo che Dante possa esserne felice). Uscendo, riesco a salutare il vice giovani nazionale, don Marco e Anna Teresa dell’ACR nazionale (e lei, in linea con la misericordia che tutti predicano, mi abbuona l’assenza futura al convegno nazionale educatori ACR di dicembre perché ho troppi esami in quel periodo… poi arriva anche il nuovo vescovo in quei giorni!) e don Michele, (che mi presenta don Giordano, di Reggio, incaricato regionale di pastorale giovanile: anche lui mi chiede del nuovo vescovo…). Fuori dall’aula magna i volontari consegnano a ciascuno una riproduzione dell’antico fiorino. Li ringrazio molto per il loro servizio assolutamente gratuito, generoso e premuroso. Dai due che ho di fronte (ma anche, circa un’ora dopo, dalla volontaria del guardaroba), mi sento rispondere: “Mi raccomando. Adesso tocca a voi. Non lasciate morire tutto questo. Datevi da fare. Ci contiamo!”. Questa richiesta, che assolutamente nulla toglie alla gratuità della loro presenza, dice anzi dell’attesa del popolo di Dio riguardo a questo giro di boa che si richiede alla Chiesa italiana: quello che hanno fatto, lo hanno fatto nella speranza che contribuisse al bene della vita ecclesiale e sociale del Paese. E ci impone di impegnarci a fondo per la recezione e l’attuazione in diocesi!

Pranzo tutti insieme al tavolo (a cui Elena, riferendosi ai ripetuti saluti e sorrisi scambiati con la delegata genovese del CIF, allude alle mie grandi amicizie con le vecchiette… non so se devo sentirmi più offeso io o la signora in questione…). Discussione interessante su come sono andati i lavori in questi giorni e su un tema di scottante attualità: le canoniche vuote. Chi è meglio che abiti con i preti? Una famiglia affidabile, che non metta il naso in cose non sue e non si autopromuova a cerchia di mediazione fra parroco e parrocchiani? Oppure è meglio la convivenza tra preti (purché però non crei derive clericali del “facciamo tutto noi, fra di noi”)? Don Matteo obietta che non per forza i preti vanno d’accordo solo perché sono preti: a nessun altro è imposta la convivenza con qualcuno che non si è scelto. Io obietto invece che questo è proprio il caso dei fratelli (nessuno mi ha fatto scegliere di condividerci la camera), e della famiglia d’origine in generale e Rita è d’accordo con me nell’apprezzare il valore educativo del limite che la convivenza con gli altri impone (limite che ci ricorda ogni giorno il nostro essere “ontologicamente” limitati)… Due visioni un po’ contrapposte! Tra la fine del pranzo e la fila a prendere il dolce (anche questo buonissimo) ho il piacere di riuscire a salutare Tommaso, da Terni (oltre ad apprezzare l’aver lavorato allo stesso tavolo, ci ripromettiamo di restare in contatto per scambiarci le famose buone prassi) e il prof. Leonardo Bianchi, che non solo mi chiede più dettagli sui miei studi (capendo finalmente perché sono in corso con la figlia del suo preside) e sulla mia età (mi faceva decisamente più giovane… non so se è perché li porto bene o perché il mio livello mentale non si è molto evoluto…), ma mi bacia, mi abbraccia, e mi lascia la sua mail per restare in contatto e scambiarsi gli auguri (sarà questo uno dei maggiori ricordi di umanità che il convegno sull’Umanesimo mi lascia… averne di professori così!). Prese le valigie, salutiamo davanti all’ingresso della fortezza Ilaria, padre Carlo e don Luciano che ritorneranno a Bologna o domenica o più tardi, in serata, e arriviamo in stazione (purtroppo devo lasciar perdere il caffè con i giovani di AC, ma era quello o non riuscire a incastrare la visita prenotata agli Uffizi).

Il resoconto del convegno potrebbe finire qui. Siccome però, a modo suo, il resto della giornata si può dire che c’entri abbastanza, lo racconto in maniera stringata.

In stazione faccio il biglietto e deposito la valigia in guardaroba (purtroppo tracolla e borsa del computer devo tenerle con me perché sarebbero altri 12 euro, e non se ne parla… colmo della sfortuna, il guardaroba degli Uffizi prende solo zaini voluminosi, per cui mi tocca deambulare attraverso capolavori pittorici carico come un mulo), poi i dovuti selfie di gruppo davanti al tabellone e infine un caro saluto a tutti. Mi dirigo speditamente verso la Galleria ma, nonostante in questi giorni mi sia sempre orientato bene a Firenze, riesco a fare un giro dell’oca pazzesco, arrivando poco prima dell’orario prenotato. Ironia della sorte, ho prenotato ma in fila non c’è nessuno (tra l’altro di venerdì pomeriggio, con molti convegnisti ancora in città!). Oltre ad un impiegato del museo che si ostina a parlarmi in inglese mentre io li rispondo in italiano, ne ricordo uno, gentilissimo, all’ingresso della Tribuna ottogonale, che mi fa appoggiare le borse con un gran sorriso, lo stesso con cui mi spiega perché la Tribuna non è più accessibile (aggiungendo che l’hanno chiusa prima che lui arrivasse e che altre informazioni le posso trovare sul tabellone di fianco): forse sono troppo sensibile ai segni di umanità della gente… Visitare in poco più di due ore gli Uffizi non è semplice, specie per uno come me che si incanterebbe davanti ad ogni singolo quadro, per cui mi impongo di evitare di leggere le didascalie, salvo se necessario, di guardare molto rapidamente le antichità romane (che posso trovare anche altrove), i pittori di poco pregio (ebbene sì, ce n’è qualcuno anche agli Uffizi) e la pittura straniera, salvi i grandi capolavori (perché ce ne sono altrettanti al Louvre, in cui paradossalmente ho più occasione di andare) e di fermarmi in contemplazione (comunque con l’orologio in mano) solo davanti alle grandi opere (e comunque su Caravaggio e Giorgione bisognerà un po’ tagliare), arcinote perché viste da sempre sui libri di scuola (e questo ha anche un effetto negativo: quando arrivi davanti al quadro sai già, quasi a memoria, quali dettagli devi guardare). Ad ogni modo, questa overdose di Giotto-Cimabue-Martini-Botticelli-Tiziano-Leonardo-Michelangelo-Perugino-Caravaggio-Giorgione-Raffaello-etc. riempie il cuore di bellezza, senza saturarlo, nonostante tutta la bellezza umana, relazionale, spirituale, morale e artistica che ha riempito questa settimana… Altro aneddoto interessante: dover spiegare in castigliano (mai studiato) a due spagnole, davanti a una Visitazione, che quella non è S. Anna (non es Ana… es Isabel… sobrina… nieta… prima!, de Maria). Ritorno alla stazione a passo di corsa, per la via più breve, in cui comunque i famosi dieci minuti sufficienti diventano quasi venti: Firenze sembra ridiventata normale, niente più convegnisti e prelati ma solo turisti, perlopiù orientali e anglosassoni! Sudatissimo in stazione, e comunque il treno è in ritardo (e io che credevo che con le Frecce non succedesse mai!), ragion per cui il povero Fede Solini, che mi aspetta a Bologna per andare in Seminario all’ultimo incontro dell’Immensa maggioranza, arriverà su con mezz’ora di ritardo, perdendosi quasi tutto l’intervento del presidente nazionale (mea culpa): in ogni caso il tragitto è davvero troppo breve, detti i Vespri e mandati due messaggi si è già arrivati (e poi non sai mai dove sei a causa della galleria)! Su in seminario (tema di oggi: esperienze di AC che funziona… un bel modo di concludere un convegno ecclesiale in cui la presenza associativa è stata comunque molto forte, come diceva a Palazzo Vecchio don Marco al presidente di Taranto: “sembra di essere alle assemblee nazionali”) c’è anche Giuseppe (iniziavo a sentirne la mancanza…) e, dopo l’intervento di don Giancarlo, ci fermiamo a cena (Mario e Sara, don Giancarlo, Donatella e il presidente) con l’immancabile brodino di Villa Revedin. Rientro a casa, due chiacchiere con i miei, Crozza che parodia Bertone e l’abate di Montecassino (sempre restare in tema) e poi le notizie di Parigi, il tuffo al cuore, la telefonata a mia nonna e mio fratello. Il resto lo sappiamo.

E ora ritorno a casa, alla vita ordinaria, al silenzio mediatico. Spero di non toccare più la macchina fotografica per un mese. Di non avere più occasione di scrivere post istrionici per un bel po’ (qui la scusa era l’indicazione, dataci dalla segreteria del convegno, di dare al massimo diffusione e visibilità sui social). Riprendo lo studio sudato e faticoso. L’impegno in associazione e in parrocchia senza più le paillettes delle interviste. Ma al contempo devo stare con il piede premuto fortissimo sull’acceleratore per riportare in diocesi l’esperienza, le riflessioni, le indicazioni, il metodo di lavoro (riassumerei tutto così: le priorità di applicazione dell’EG), aspettando e sperando una guida anche da parte del nuovo vescovo: conversione delle parrocchie, della diocesi, dell’associazione.

Ringrazio davvero tutti i volontari fiorentini e specialmente il “nostro” Maurizio, gli altri delegati (Giuseppe, don Luciano, Ilaria, Silvia, Elena, Monica, Maria Pia, don Matteo, don Roberto, padre Carlo, Mirco, Rita, Mario), con cui si è creato un bellissimo clima (“da campo”), le altre persone del mio tavolo (don Michele, Giulia, Ilaria, Andrea, Francesco, Elisa, Ilaria, Tommaso, Chiara), Paolo (mio compagno di stanza), gli altri delegati dell’AC conosciuti o rivisti in questa occasione, e tutti le altre persone che ho incontrato (come i delegati faentini, quelli genovesi e il prof. Leonardi), perché hanno contribuito ad arricchirmi in questo percorso a Firenze.

Ringrazio il Signore perché ritorno a casa (per dirla con un’espressione che ricorda un po’ Acquaderni) con un accresciuto e rinnovato amore al Papa, alla Chiesa, all’associazione, al Paese, agli uomini e alle donne che sono sul mio cammino e all’umano, con tutta la sua dignità, come valore.

 

Giorno 4 (12/11/2015)

gruppoDirei che lo sfondo della giornata di oggi può riassumersi così: dialogo ecumenico e interreligioso (forte la tradizione fiorentina in questo senso, dal Concilio di Firenze nel Quattrocento, alla ripresa del dialogo con gli ebrei nel secondo dopoguerra sotto il cardinal Dalla Costa), impegno civile e Umanesimo della bellezza. Per le mie vicende personali potrei anche aggiungere: sudatissimo.
Mi sveglio alle 6.20 e mi accorgo di non aver puntato la sveglia e che quindi il mio progetto di alzarmi alle 5.30 per scrivere il resoconto di ieri prima della messa è saltato. Cercando di prenderla con filosofia, mi preparo, sveglio il mio compagno di stanza, e scendo a fare colazione (in sala c’è solo Lambiasi, che poi presiederà la Messa in chiesa, nel giorno di San Giosafat, così significativo per il dialogo con i fratelli orientali) in fretta (recupererò con quella di domani).


Dopo la Messa, mi chiudo in camera a scrivere e a mandare le foto a Luca Tentori perché le usi per l’intervista fattaci ieri. Termino dopo le 9.30 e mi fiondo verso la Fortezza da Basso, attraversando la strada in modo molto creativo e scavalcando spartitraffici (anche se poi incontro anche molti delegati che si avviano con tutta calma o chi indugiano all’ingresso). Arrivo sudatissimo in aula magna dove purtroppo si è già al Padre Nostro e dunque mi sono perso (io che a dialogo e preghiera ecumenici tenevo tanto) le meditazioni dell’arciprete russo ortodosso Blatinskij (e nessuno sa riferirmi quanto ha detto a causa della pronuncia marcatamente slava) e della pastora valdese Tommassone (che pare abbia parlato della teologia protestante della croce, e d’altro canto il passo biblico era l’inno di Filippesi): e nessuno le ha pubblicate sulla app del Convegno.
In compenso, sarà perché il dialogo interreligioso mi sta moltissimo a cuore fin da quando ho sette anni, mi sciolgo di commozione ad ascoltare il rabbino e l’imam di Firenze (ma forse non è buon segno che in questo Convengo, papa a parte, i discorsi che più mi hanno colpito siano stati quelli del sindaco e delle autorità religiose non cristiane…). L’imam Elzir, nativo di quella Terra Santa nativa di Gesù, ringrazia i fratelli (!) e sottolinea che il dialogo interreligioso è riscoprire le proprie radici, e non deve essere fra le teologie, ma fra gli uomini, partendo dalle comunità e non dai leader (come insegna la giornata di dialogo islamico-musulmano di pochi giorni fa): tanto più necessario in quest’epoca di follia terroristica. Come il papa (!) ci ha ricordato, occorre essere umili e aiutare gli altri ad essere ciò che sono (!): occorre riscoprire l’Umanesimo. Il rabbino Levi richiama il cinquantenario della Nostra Aetate (bello che sia un rabbino a ricordarci i documenti conciliari!), che ha rilanciato i ponti, già esistenti in passato, distrutti dalla follia antisemita. Grande rispetto per i ponti che la Chiesa sta gettando alla modernità (!), al fine di portare speranza, che è il comune compito oggi, perché il mondo attende una comunicazione comune, che sia una proposta positiva del mondo e dell’uomo, di cui Dio cerca il bene. Per secoli abbiamo definito le differenze fra religioni proiettando sull’altro le ombre presenti in noi, dando più peso all’ideale che al reale (questo sa molto di EG), senza accettare l’altro con la sua complessità. Chiesa e comunità ebraica possono camminare insieme per proporre un nuovo umanesimo, biblicamente fondato su tre punti (mondo non casuale ma finalizzato e pieno di significato; ricerca di un dialogo di Dio con l’uomo, da cui scaturisce il patto; indirizzo etico del mondo mediato necessariamente dal patto con l’uomo, ossia concretizzato solo dal discernimento dell’uomo).angeli
Poi ci ridividiamo nelle sale di ieri. Dopo un video su un’attività caritativa proposta ai giovanissimi di Venezia, don Michele ci legge la sintesi fatta in cui ha condensato tutti gli interventi di ieri. Rimango un po’ sorpreso dal linguaggio che, a tratti, è leggermente (e sottolineo leggermente) venato di ecclesialese e procede molto per immagini figurate (però molto efficaci). Mentre apportiamo qualche modifica o precisazione, rifletto che, perché fosse presentabile, il linguaggio quello doveva essere… anche se poi da alcuni tavoli di soli adulti emergono sintesi ben più asciutte! I punti focali della nostra possono riassumersi così: distanza adulti-giovani marcata anche dentro la Chiesa, il bisogno di non ridurre l’educazione alla trasmissione, l’esigenza di dare fiducia e mettere alla prova il soggetto educando e di fornire appoggi per ripartire, il bisogno di corresponsabilità dei giovani, da non relegare al baby parking, la collaborazione con le altre realtà educative, secolari, e la formazione d’ambiente (leggi: l’educare ad essere pienamente uomini e cristiani a scuola, nel lavoro, nello sport, etc.). L’altro difettuccio della nostra sintesi credo sia anche quella di non riuscire a fare delle proposte concrete, ma di evidenziare piuttosto delle priorità e delle attenzioni. Emerge anche poco il nesso con il nuovo umanesimo, che pure ieri Francesco aveva più volte sottolineato (ma a Tricarico sono avanti sul Convegno…), anche se senz’altro è presente nei contenuti. Abbiamo tre minuti a tavolo per leggere le sintesi ad alta voce, ma ad Ilaria (di Lecce) viene concesso di sforare per altri due minuti e mezzo, perché siamo giovani… Dagli altri dieci tavoli si evidenziano una marea di aspetti, fra cui: il bisogno di far confluire le sinergie educative in un’opera di pastorale integrata, l’educare chi educa, il fatto che la sacramentalizzazione risponda a domande mai poste (e che la preparazione matrimoniale va implementata con l’accompagnamento familiare), il continuare a scambiarsi buone prassi e a camminare sinodalmente, il primato dell’EG (da applicare più che da commentare!), il ridare una certa centralità ai temi di sessualità e affettività, la pastorale d’ambiente, anche con progetti comuni e senza paranoie, il dare più corresponsabilità (nei fatti, non nelle teorie idilliache) ai ragazzi dai quattordici anni in su (e già ieri al mio tavolo, deformazione professionale da ACR, si proponeva di far partecipare anche loro al convegno ecclesiale del 2025…), i CPP (della serie: abbiamo degli strumenti, usiamoli!), l’intercettare le domande mute (pensa ai carcerati), la ricerca di luoghi informali, che non spaventano chi sta sulla soglia proprio perché privi di etichetta.
Poi c’è spazio perché ciascuno tra i 100-110 presenti possa intervenire (massimo tre minuti a testa), non per difendere nuovamente quanto emerso dal proprio tavolo, ma per riprendere suggestioni di altri o aggiungere qualcosa. Svariati interventi e verso la fine interveniamo in tre dal nostro tavolo. Oltre a Ilaria, Tommaso, che ha il coraggio di far notare che i catechismi, già con un sapore di vecchio e di stantio ai nostri tempi, ora sono archeologia. Poi mi lancio anch’io (troppe interviste ormai mi hanno dato alla testa), su due punti: la necessità di educare i bambini fin da subito al dialogo interreligioso e al rispetto, necessità che la fase storica che viviamo ci impone (e qui come al solito sparo i miei imperativi categorici e cattedratici), portando anche l’esperienza della festa interreligiosa che l’ACR bolognese da mesi sta provando ad organizzare (secondo quella che è stata l’intuizione geniale di Daniele Magliozzi), e l’esigenza di recuperare una sana laicità quando parliamo di educazione (se si parla di famiglia come soggetto educante in crisi, è vero che un’educazione familiare cristiana facilita la formazione all’interno di un cammino di fede, ma non dimentichiamo che una sana e buona educazione familiare umana, anche se non etichettabile come cristiana, è comunque un dono grandissimo, che, tra l’altro, facilita, anche se per altre vie, la formazione delle coscienze, eventualmente anche da parte della Chiesa).
Per il pranzo, purtroppo non riusciamo ad andare noi nove ragazzi del tavolo P1 a tavola insieme, perché ognuno ha la sua delegazione che lo aspetta. Mentre mi aggiro per i tavoli alla ricerca dei bolognesi, vedo che il già incontrato cappellano di Cortina scatta una foto a una signora (che scopro poi essere la presidente di Belluno-Feltre) con mons. Bianchi e Anna Teresa e quindi gli chiedo, incredulo: “Ma avete l’AC anche in Ampezzo?”. Al che mi spiega che l’associazione è presente più che altro a valle, nelle zone di Belluno e di Feltre, e assente in montagna: lui stesso la conosce poco ma gli sembra che, mancando di un carisma proprio, sia “la più equilibrata” (e non è l’ideale che le parrocchie siano gestite da movimenti o famiglie religiose perché questo le snatura). Sull’ordinarietà mi permetto di calcare un po’ la mano e di aspettarmi di trovare l’associazione la prossima volta che vengo in montagna (che bello, faccio promozione associativa per le diocesi altrui…). Passando a salutare Anna Teresa, mi ripresenta al presidente e all’assistente generale, non sapendo che per loro è l’ennesima volta (poveretti, io mi sforzo di non fare lo stalker, ma penseranno che li perseguito). Poi, sempre rivolta al vescovo, dice che sono un ragazzo bravissimo (“Stai attento a chi te lo dice!” mi ammonisce lui) e che scrivo bene (perché sì, in effetti, i miei post su facebook sono grandi opere di letterature). Insomma, già dell’umiltà che il papa raccomanda io ne ho molto poca, se poi mi s’incensa ogni due per tre è la fine…
ila e fraccaA pranzo ci scontriamo anche con le scorrettezze operative in alcune sale: in quella di Ilaria (che è abbastanza alterata) il moderatore ha saltato a piè pari, perché non la condivideva, la sintesi del suo tavolo (e nel pomeriggio Silvia ci scrive che a lei è successo qualcosa di simile).
Dopo pranzo (e scusate l’inciso: ma continuo a stupirmi del numero di preti, e specie di vescovi, che stanno in giardino a fumare… quando ad uno hanno inculcato con la demonizzazione del tabacco…), a parte il povero Giuseppe, moderatore, che deve scrivere il maxiriassunto, e don Matteo, che va a spasso, ci dividiamo nei vari gruppi d’incontro con la realtà fiorentina (trenta i gruppi che la storia e l’attualità ecclesiali, civili, artistiche, spirituali, sociali,educative e umane della città riescono ad offrire: io ero seriamente indeciso fra almeno cinque gruppi al momento dell’iscrizione!): tutti modi per farci toccare con mano un Umanesimo concreto e incarnato in una città che il Convegno ha voluto abitare in maniera visibile. Io e don Roberto siamo nella comitiva che si dirige a Palazzo Vecchio per approfondire la vita del grande La Pira. La guida, preparatissima, ci fa fare un po’ di deviazioni per non farci arrivare con troppo anticipo: Santa Maria Novella (spiegandone la storia, legata alla famiglia Ruccellai), Palazzo Corsini (sede della Biennale d’artigianato), Santa Trinita (con le ragioni del silenzio di Dante sul fondatore dei vallombrosiani, Giovanni Gualberto). Durante l’ultima sosta vedo don Marco Ghiazza e gli chiedo (sempre sul pezzo, come al solito) se è assistente del settore giovani (bello che gli equippari ACR non sappiano nemmeno riconoscere il nome del loro assistente nazionale). Mi dice che Teresa gli ha fatto leggere i miei famosi post dei giorni precedenti e che si è commossa (Signore, salvami tu dalla mondanità e dalla vanità…). Chiacchieriamo del convegno (tarato sui tempi di vescovi e preti, più che dei lavoratori: e non è detto che si continuerà a farli, visti i richiami del papa a evitare queste grandi momenti se devono produrre solo carta) fino a Palazzo (dove lui non è mai entrato) e, nella sala degli affreschi del Vasari, come tutti, gli impongo, poveretto, il solito selfie da mandare all’équipe. Nel frattempo un episodio ha dimostrato quanto sia ormai fuso: a una signora che mi chiede l’elemosina rispondo “No, grazie” (ma in realtà c’è del vero: era lei a farmi la grazia di poter restituirle quanto avevo ricevuto dalla vita). Poi don Roberto ha l’idea geniale di mettersi in prima fila (il che non sarà comodissimo per lui, quando, vedendo la cosa andare molto per le lunghe, andrà via prima della fine, mentre io rimango, stoico, pur avendo un’altra cosa da incastrare prima di cena, perché, ogni volta che penso di andarmene, il relatore di turno dice qualcosa che mi fa commuovere…) e così mi ritrovo seduto di fianco al prof. Leonardo Bianchi (che scopro tra l’altro insegnare Diritto Costituzionale ed essere dunque collega del celebre papà di una mia compagna di corso), delegato fiorentino, molto gentile, che ci si presenta, chiede nome e diocesi di provenienza, si confronta con noi su come sono andati i lavori di gruppo, quali sono i rischi nel fare le sintesi, etc. Durante le relazioni, insiste per darmi a tutti i costi una caramella alla liquirizia, e, dopo avergli chiesto il nome di un relatore, si premura di indicarmi nome, cognome e incarico di tutti gli altri. Finita l’ultima relazione, mi prende sottobraccio e mi porta a prendere la pubblicazione (molto voluminosa ma quasi tutta di foto: può anche darsi che un giorno o l’altro la legga) su Pino Arpioni e la Vela (casa per campi nella diocesi di Firenze). Me li immagino proprio, i miei docenti, che mi prendono sottobraccio…
Per quanto lungo di tre ore, l’incontro su La Pira è qualcosa che smuove il cuore, per la santità della sua vita e la sacertà del suo impegno civile e politico (tra l’altro non cercato né desiderato ma assunto per altissima consapevolezza etica). Dopo il saluto della vice-sindaco (docente di storia del diritto romano, come il santo sindaco) e un breve filmato, partono i relatori, seduti davanti ai due famosi arazzi di Boetti che rappresentano il planisfero colorato con le bandiere: il prof. Corticelli, sul profilo spirituale (preghiera con la Bibbia e il mappamondo, centralità assiomatica della Risurrezione, evento-fatto che dà senso alla Scrittura, alla catechesi, alla liturgia alla carità, spiritualità come interiorizzazione dell’evento Resurrezione, armonia spirituale fra esperienze di fede e ragione, Cristianesimo mariano come impegno sociale e non intimismo proprio perché l’Assunzione, destinazione all’Infinito, illumina l’integralità della persona), il giudice costituzionale De Siervo, con cui recupero le lezioni perse questa settimana, sull’impegno politico (doverosità dell’impegno politico dei cattolici italiani, Stato a servizio della persona, revisione antiindividualista del costituzionalismo liberaldemocratico, accettazione del pluralismo ma tramite una costituzione a servizio della persona cristianamente intesa, grazie ai valori cristiani tomisticamente interpretati come base comune, rifiuto tanto di uno Stato confessionale quanto della chiusura all’orientamento religioso dell’uomo, preoccupazione “dossettiana” per la discrasia fra i principi valoriali e i modi scelti per ricostruire l’economia pubblica: e tutto questo, spesso, nell’opposizione del mondo cattolico), Mario Primicerio, ex primo cittadino e presidente della fondazione La Pira, sull’attività di sindaco (dalla parte dei poveri, perché altrimenti è come essere pastori che abbandonano il lupo al gregge, con una visione politica generale, e promuovendo i diritti di cittadinanza, ossia alla casa, al lavoro e, anche tramite i convegni delle città capitali e i colloqui mediterranei, alla pace, senza doverne rendere conto ad altri che a Dio: l’impegno politico è un dovere di umanità e santità), la signora Gioia Delper… (mi è sfuggito il cognome) sull’esperienza della Messa di San Procolo, centrale nella vita spirituale ed umana del Professore (“Perché questi poveri non lavorano?” “Non lo so. Ma stiamo ai fatti. I ragionamenti concludono poco: nei fatti c’è un’umanità a rischio di dissoluzione e una forte sproporzione fra la nostra e la loro situazione”), Gabriele Pecchioli, sul discepolo Pino Arpione (che ne condivise la necessità del fare e fu promotore dell’Opera della gioventù, uomo di grande laicità) e Giovanna Carocci sull’amica e consigliere comunale Fioretta Mazzei (convinta della specifica vocazione laicale nella Chiesa, che è atto di fondamentale ottimismo, di fede nel battesimo nel Suo sangue).
Finite le relazioni, saluto e mi fiondo a Palazzo Strozzi per vedere la mostra “Bellezza divina”, alle ore 18.45: l’appuntamento con gli altri delegati (che incontro nella seconda sala) era alle 18 e abbiamo la cena puntualissima alle 19.30! Lascio perdere visite guidate e audioguide e m’impongo di vederla con attenzione e contemplazione ma in fretta. Diciamo che l’arte moderna (dal postimpressionismo in poi), specie la pittura, non è proprio la mia passione e sull’arte sacra sono piuttosto tradizionalista. Però, a parte l’incanto dell’Angelus di Millet e la crocifissione di Chagall (e lì lo vedi tutto Cristo martire perché figlio del suo popolo), intanto c’è il piacere di ritrovare, declinati sul mistero di Cristo e di Maria, quelle correnti studiate e amate (Divisionismo, Futurismo, Espressionismo, Cubismo) sui libri di scuola: magari non me li appenderei in camera, ma capisco la ricerca che c’è dietro. Ma non è tutto qui. In ogni quadro, sembrasse anche il più blasfemo o provocatore, vedi questa ricerca di dare un volto, di dare una carne, una carne che parli a me, uomo del mio tempo e della mia sensibilità, all’immagine del nuovo Adamo. E davanti a questa bellezza, si può solo contemplare in silenzio. Alle 19.30 riesco a finire. Scambio due parole con l’addetta al guardaroba sull’anomala presenza di preti e vescovi nelle sale (e i rimanenti sono poi quasi tutti delegati: un po’ come quando passeggi la sera per Firenze in questi giorni) e poi corro all’albergo, riuscendo anche a recitare i Vespri (un po’ di preghiera ci vuole!) durante il percorso. Arrivo, di nuovo sudatissimo, alle 19.45 proprio mentre stanno per servirmi la pasta. Cena tutta a base di pesce (credo abbiano sbagliato giorno della settimana), in cui si parla solo degli scandali finanziari nella Chiesa e del cattivo uso dei beni ecclesiastici (non brilliamo esattamente di ortodossia) e poi alle 20.30 ci fiondiamo in taxi per arrivare a Santa Croce per l’esposizione vivente “Il vero volto di Dante”. Mentre aspettiamo il nostro turno, incontro la presidente del CIF di Genova, che stamattina ha parlato nella nostra sala. Vorrebbe lanciarmi in politica (è stata consigliere comunale 10 anni e fa anche parte di Agire politicamente, per cui m’invita a contattare a Bologna Pier Giorgio Maiardi, che è poi anche presidente del MEIC, credo) dato che studio legge e che ho parlato bene in aula, dice lei (umiltà saltami addosso!).

milletA parte questo, conversazione molto interessante, sullo snellimento e la parresia che il papa ci sta richiedendo, sul bisogno di essere più umani e meno condottieri volitivi di virtù stoica, sul loro vescovo Bagnasco (“tanto intelligente, ma, ad essere pastore, non ce la può fare”), sui lavori del convegno, sul reimpostare tutto su dialogo (anche litigando!) e confronto, sull’impegno civile e politico. Poco prima dell’inizio della visita, Silvia è presa dalla risarola (peggio di martedì sera in cui tentava invano di usare la sua app “autoscatto con la mano” su uno dei ponti) ed Elena si lancia in fotografie demenziali, che aumentano il clima già goliardico fra i delegati. Poi finalmente l’inizio. Video dei carcerati in cui esprimono che cosa ha dato loro la lettura della Divina Commedia. Nella cripta, buia, l’Inferno: brevi monologhi di attori in cui si riconoscono Francesca del V, Farinata del X, Pier delle Vigne del XIII, Ulisse del XXVI, Ugolino del XXXII. In sagrestia, il Purgatorio; una ventina di angeliche ninfe (credo che il riferimento sia alle accompagnatrici di Beatrice che si incontrano nel Paradiso terrestre) svolazza (camminando), accompagnandoci (mi fa ridere pensare il vescovo presente in sì graziosa compagnia…) ai posti lungo il muro e incoronandoci di corone di fiori (ma non agli uomini). Fra le strofe che declamano, riconosco a tentoni i primissimi canti del Purgatorio, la recita del Padre Nostro (l’XI? O il XVII?) e la visione della Chiesa proprio alla fine della cantica. C’è tutto quello che amo del Purgatorio dantesco, che è per me la cantica dell’ordinarietà: la natura, la serenità, la preghiera liturgica. Poi attraversiamo la chiesa buia, fra le tombe dei nostri grandi, ed entriamo nella cappella de’ Pazzi, nera pesta. Si avverte un aroma e s’intravedono i bambini seduti a terra , mentre i registratori mandano brusii di versi danteschi smorzati. Poi ogni bambino scopre la propria lucina e iniziano a recitare in coro un’invocazione alla luce divina (che non saprei dove collocare nella cantica: riconosco solo la quadrature del cerchio del XXXIII), finché, improvvisamente, sei accecato da una luce abbagliante. Allora davvero ti senti toccato dalla grazia, allora davvero ritorni al desiderio di contemplare il tuo Creatore, di ricongiungerti a Lui, di accedere alla gioia dell’eternità. Tutto questo con un faretto un po’ più potente del solito. Quanto è efficace dunque l’arte. Lode a Dante, poeta dell’umanità piena, poeta di una sana laicità e secolarità, poeta dell’impegno civile e della spiritualità altissima.
Riaccompagniamo a casa Silvia nel solito clima un po’ troppo allegro (e giuro che siamo sobri), pur parlando di storia fiorentina e di genealogia medicea. Poi Ilaria e io ci facciamo una foto in cui, non fosse per il mio badge, sembreremmo in viaggio di nozze, e da lì, ricordando l’iniziale equivoco degli alberghi che la credevano mia moglie, parte un viaggio mentale assurdo per cui ci scattiamo una serie di foto in cui a questi due ruoli si aggiungono don Luciano nelle vesti del celebrante e Giuseppe in quelle del testimone dello sposo. Decisamente i convegni CEI nocciono gravemente alla salute mentale. Nell’ultimo tratto con Giuseppe e don Luciano riprendiamo a parlare dei lavori di gruppo, delle sintesi, delle ricadute pratiche del convegno, delle esigenze che si impongono alla Chiesa italiana: promuovere il bene comune dialogando con tutti, forse anche senza speranza di un ritorno in termini di adesione esplicita alla fede, stimolare, specie nei giovani, l’impegno politico, uscendo dalle logiche di negoziati delle gerarchie ecclesiastiche, etc. Per me resta vera l’indicazione del papa: il Convegno ha promosso un metodo di lavoro (fatemi pensare un attimo… si chiama sinodalità), individui dunque le priorità di attuazione dell’EG e con questo metodo si faccia discernimento a livello locale. Signore, siamo nelle tue mani. Buonanotte.

 

Giorno 3 (11/11/2015)

giovani tavoloMessa nella chiesa di Ognissanti (tutta affreschi, stucchi e marmi, con il famoso crocifisso ligneo di Giotto). Finalmente incontro questi famosi giovani di cui il Convegno doveva essere pieno (e questa sarà davvero, a modo suo, la giornata dei giovani) e che finora avevo visto quasi solo nei due giovani che molto professionalmente ma anche molto umanamente passano il tempo a darci gli avvisi e a dirci che cosa faremo (e questa è una bella scelta).

Colazione super abbondante e poi diretti alla Fortezza da Basso. All’ingresso di nuovo don Celestino che distribuisce il suo testamento spirituale. Poco prima di entrare in aula magna, mi fanno notare il Cardinal Betori che viene intervistato. Mi apposto dietro un albero e, finita l’intervista, sbuco fuori e gli consegno il libro scritto dalla mia prof. di Storia del diritto canonico con cui vado in giro da tre giorni: “Buongiorno Eminenza, sono uno studente della prof.ssa Boni; mi ha chiesto di portarle i suoi saluti e di consegnarle questo”. “Ah, la Geraldina! Me la saluti tanto, e la ringrazi ancora per l’aiuto che mi dava quand’ero alla CEI” dice con la sua voce flebile.

Che buffo poi vedere tutti i porporati (e ce n’è uno identico al cardinale della Grande bellezza di Sorrentino) sempre alle prese con lo smartphone (persino ieri facevano le foto al papa come fossero comuni mortali).
Preghiera con liturgia della parola su uno dei carmi del servo di Jahvé e commento di p. Michelini: complementarietà e non antitesi delle due letture tradizionali del servo, quella collettivista, rabbinica, e quella messianico-personale, proprio perché il Verbo è uscito ed ha scelto una vita accidentata, che ci viene ogni giorno riproposta dai destini oppressi di tanti popoli, come anche il popolo d’Israele (e questo interroga la nostra coscienza: l’Europa cristiana, dopo aver fallito ad Auschwitz, in cui non solo Dio, ma anche l’umanità, sono apparsi assenti, fallirà anche con i migranti di oggi in fuga?).
delegazione-bolognaRelazione di Mauro Magatti: molto bella fino al primo applauso, ma dopo purtroppo quasi inascoltabile (con i ritmi del convegno come puoi seguire di prima mattina quattordici cartelle lette quasi in rettotono in cui, di nuovo, si provano a riassumere tutte le questioni di umanesimo e tutte le sfide per la società e la Chiesa italiana?). Fra gli elementi che ritornano: la difficoltà dell’Italia a trovare e definire il proprio posto nel mondo e a fare il salto richiesto dalla globalizzazione (un po’ perché la bellezza umana è refrattaria ad aderire all’astrazione spersonalizzata proposta, ma un po’ anche perché, anziché aggiornarsi al progresso tecnico, l’élite tende a chiudersi in un chiacchiericcio vuoto e retorico), il bisogno di un Umanesimo della concretezza (che è generativa, contro l’astrazione facilitata dall’integrazione su scala planetaria ma anche contro una radicalizzazione sulle posizioni che non lasci spazio alle aperture) e non esclusivo (perché l’altro ci costringe al movimento che, pur doloroso, immette nella vita), i richiami al magnifico discorso di Paolo VI conclusivo del Vaticano II, le tentazioni dello scarto e della performance, l’esigenza che la Chiesa si faccia più povera e vicina, madre generativa, attenta e impegnata nella storia, e che compia il suo Esodo e il suo Sinodo.
Segue il teologo Lorizio, che invita a riscoprire le radici dell’Umanesimo cristiano guardando a Gesù, che è lui stesso nuova alleanza, alla quale tutte le nostre alleanze (uomo-natura, uomo-donna, cittadino-istituzioni, Cristo-Chiesa, con il futuro, con l’altro, con le altre religioni e confessioni) sono raffrontate dal mistero Eucaristia. Richiama il rischio de “il Verbo si è fatto carta”. La sinodalità non s’improvvisa. La si prepara e la si impara solo facendola. Passiamo dalla pastorale delle strutture a quella delle persone.
giacomoPoi Mons. Galantino ci introduce i cinque miniclip (“Annunciare. Voce del Verbo”, “Abitare. Voce del Verbo”, etc.) su quello che non bisogna fare nei lavori di gruppo!
Scopro di avere la fortuna di essere stato assegnato nell’unica sala, tra le cinque dell’Educare, ad avere il tavolo di soli giovani, che tra l’altro è il mio. In teoria doveva essercene uno per stanza (quindi 25 e non 5 in tutto) ma i vescovi non hanno recepito bene la direttiva di Nosiglia che chiedeva un’ampia partecipazione giovanile. Su questo va riconosciuto il merito del nostro Cardinale, che ha voluto che ci fossero due giovani (oltre che una maggioranza di laici, il che non è comune a tutte le delegazioni). Al tavolo siamo quindi nove ragazzi (sei di AC, una dell’AGESCI, una della FUCI e uno preposto alla pastorale giovanile e al progetto policoro), oltre a don Michele Falabretti, responsabile nazionale della pastorale giovanile. È molto bello anche scoprire i particolarismi delle realtà diocesane: la ragazzi di Bolzano viene da una diocesi divisa in comunità parrocchiali per tedeschi, per italiani e per ladini (e la pastorale integrale da fare così ce la raccomanda: i tedeschi seguono i sussidi dell’ACR omologa austriaca, con gli stessi programmi della diocesi di Innsbrück!) e quella di Piana degli Albanesi è di rito orientale (con liturgie di tre ore, con l’IC ridotta alla preparazione alla confessione, dato che i neonati ricevono tutto col battesimo, e quindi senza un catechismo di riferimento!). Seguiamo un programma un po’ diverso da quello degli altri tavoli perché la prima parte è molto incentrata sulla nostra percezione, previa e attuale, del convegno, su come ci siamo arrivati e sulle impressioni della giornata con il papa.
A pranzo capito con Silvia e Giuseppe al tavolo del vescovo di Rieti: non paghi di servirci montagne di pasticcini, arrivano anche i gelati confezionati…
intervisteLuca Tentori di dodici porte è già con noi (entrato clandestinamente in fortezza, in giornata evita anche uno scontro fisico-verbale tra un giornalista di Avvenire e il povero Galantino), per cui dopo pranzo ci diamo alle interviste in un clima molto goliardico, con don Matteo che fa l’asino fingendosi brillante presentatore televisivo e noi che abbondiamo in commenti non necessariamente di spessore (mi dilungo addirittura sulla citazione di don Camillo fatta dal papa).
Poi di nuovo ai lavori di gruppo. Sento davvero scaldarmi il cuore a lavorare con altri ragazzi della mia età, maturi, impegnati, consci delle necessità della Chiesa (senza cadere nel trionfalismo conservatore ma neanche del polemicismo disfattista), consapevoli. Questa famosa parresia di cui parlano tutti finalmente si tocca con mano. Io per primo, così inquadrato, inizio a schiodarmi da quelle dinamiche deliranti del “non si può dire”. Tante le cose che vengono fuori, magari le riassumo da come escono dalla sintesi di giovedì. Forse i cinque facilitatori dei tavoli giovani riusciranno nel tentativo di golpe volto a produrre una sintesi separata, che esprima la voce dei giovani del convegno. Chi vivrà vedrà.
Uscendo, incontro un prete e gli dico: “Ma lei è il cappellano di Cortina!”. A volte ritornano. Anche ai convegni ecclesiali.
con truffelliPoi inizia la lunga attesa, fuori dalla fortezza, di Silvagni che sta conferendo con Zuppi. Bellissimo intanto sedersi con Rita sul bordo del marciapiede e recitare i Vespri che in molte stanze erano stati cassati o rimessi alla buona volontà dei singoli. Finalmente arrivano e ci dirigiamo verso la pizzeria Nerone (un nome, un programma, come dice Sua Eccellenza). Lì lo aspettano, (temiamo) a sorpresa, un paio di monsignori e tre seminaristi e quindi finisce che la famosa cena con i delegati diventa una cena con il clero e la curia, anche perché tavoli da venti non ce ne sono e quasi tutti noi laici ci sediamo altrove (grazie comunque don Giovanni per aver offerto la cena a tutti). Alla faccia dei chierici per cui questa cena doveva restare segreta (viva la parresia), scattiamo una marea di foto e poi recuperiamo accompagnando il vescovo al suo albergo, mentre i non delegati tornano a casa in treno. Davvero molto alla mano, si interessa di tutti, mi chiede addirittura su che cosa voglio fare la tesi, come sta l’AC (che se funziona bene, è meglio per la Chiesa tutta). Io lo invito allo spettacolo di S. Egidio per il centenario e gli porto i saluti del Sicomoro.

Poi ci spostiamo in centro, dove gli altri delegati accompagnano Silvia a casa e noi raggiungiamo i giovani di AC delegati al convegno in piazza del duomo (dove la metà di loro è bloccata da una ripresa televisiva che dura mezz’ora). Scopro che l’AC rappresenta un decimo dei convenuti e vedo finalmente tanti altri giovani. Bella occasione anche per conoscere i vice e responsabili nazionali del settore Giovani, del MSAC e della Fuci. Bei confronti e belle chiacchiere. Arriva anche il presidente con cui facciamo un po’ di foto e poi ci spostiamo in un locale vicino. Poi a letto. Mi dimentico di puntare la sveglia per le 5.30 ed è il motivo per cui finisco di scrivere ora. Fuggo che c’è la preghiera ecumenica.

Giorno 2 (10/11/2015)

papa-francesco-discorsoAlzarsi all’alba dopo aver dormito sei ore. Davanti ad un buffet di varie e succulente vivande, dover fare colazione in fretta e furia e cercando di immagazzinare il massimo di zuccheri sapendo che l’accesso ai bagni sarebbe stato precluso per le seguenti cinque-sei ore. Farsi accompagnare dal nostro volontario Maurizio (che ci ha seguiti per tutta la giornata: un grandissimo grazie sin da ora) attraverso la capitale toscana che si risveglia, e arrivare in una piazza del duomo deserta e blindata come mai era stata dopo il 1986. Avere la fortuna di trovare dei posti abbastanza centrali in Santa Maria del Fiore.

Per merito dell’intraprendenza di Elena Fracassetti, vedere il vescovo Zuppi venire a salutare la delegazione bolognese: e, a me e Ilaria dice, “Ma voi giovani di AC siete giovani per davvero… mica come in altre diocesi…”, oltre a “Quanti laici! Sono proprio contento!”.
I rapporti con i fiorentini, venuti a vedere il Papa, e sistemati in Cattedrale oltre le transenne: la suora ipovedente e novantatreenne, nativa di Monghidoro, che confida “Peccato non poter venire dove siete voi… ho tanto deisderato vederlo prima di morire…” e una mamma, con marito e figlia, che mi chiede il nome per aggiungermi su facebook dopo aver scambiato due parole. Poi tanti esterni che scavalcano le transenne per avvicinarsi al papa che arriva, compresa la figlia della signora, che viene presa in braccio e sulle spalle!
Mentre aspettiamo Francesco: liturgia della Parola (identica al gruppo della prima lettura della Veglia pasquale) e commento di Naro sulle tre relazioni fondamentali dell’uomo, con Dio (principiale, oltre che principale), con il prossimo (l’alterità non va semplicemente tollerata intorno a noi bensì accolta in quanto intrinseca) e con il creato (ciò che è molto buono è l’uomo inserito nel creato).
E poi arriva il papa fra una folla osannante e fotografante e anch’io mi ritrovo appollaiato sul braciolo di una sedia per scattargli una foto. Prima del discorso tre testimonianze (una catecumena piemontese, una coppia di divorziati risposati dopo la sentenza di nullità e dopo il ritorno alla fede e un prete di Firenze arrivato ateo profugo clandestino dall’Albania a sedici anni e accolto da un parroco della città dopo mesi sotto i ponti), molto commoventi (specie l’ultima che fa lacrimare anche i cardinali)… si piange peggio che ad andare al cinema!

laiciDiscorso del papa: guarda ammirato la cupola (che chiama più volte “copula”, scatenando risatine generali) in cui il Cristo giudice redentore porta il cartiglio “Ecce homo” della propria umiliazione.

santa-maria-in-fioreL’Umanesimo non può che partire da Gesù, che ricompone i frammenti delle nostre vite. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo, di quel misericordiae vultus, volto di un Dio svuotato visibile solo se ci abbassiamo: non riducete il convegno a parole colte e raffinate ma prive di fede. L’Umanesimo cristiano passa attraverso i sentimenti di Gesù: umiltà (cerchiamo la gloria di Dio, che è grotta di Betlemme e Calvario, non la nostra: non attacchiamoci a conservare onori, poteri, privilegi, sicurezze), disinteresse (la fede è rivoluzionaria perché è lo Spirito ad agire per migliorare il mondo, ed è in uscita perché è capacità di donarsi), beatitudine (povertà e consapevolezza delle nostre miserie, che sembra sciocchezza a chi non apre il cuore allo Spirito, poiché non conduce al successo, ma è invece scommessa laboriosa). Non cerchiamo il potere, anche se utile all’immagine della Chiesa (scrosci di applausi). Ripresa di diversi spunti dell’EG: meglio una Chiesa accidentata… e le due tentazioni, pelagiana e gnostica (solo due citate, contro le 15 elencate alla Curia romana: altri scrosci). Il conservatorismo è inutile perché dimentica che la dottrina cristiana non è incapace di generare, perché è carne tenera, la carne tenera di Gesù Cristo. Promuove un Cristianesimo umile, generoso, popolare, citando, accanto a San Francesco e a San Filippo Neri, don Camillo di Guareschi! (altri scrosci).

Poi uscita al passo di corsa (e siamo tutti candidati al premio “vescica di bronzo”) per raggiungere la Fortezza da Basso, dove ci aspetta un buffet succulento e stratosferico (e nel frattempo il Papa mangia alla mensa dei poveri… e questo fa riflettere). In coda per entrare ritrovo Simona Fodde, consigliere nazionale per l’ACR, riconoscendola dal badge prima che dalla faccia (a mia discolpa non l’avevo mai vista con gli occhiali), e poi all’ingresso Anna Teresa Borrelli, che mi dice “Giacomo! Ho proprio pensato a te oggi! Mi chiedevo dov’eri perché ho visto il tuo post di ieri su facebook” (quale onore essere letto dalla Responsabile!, che poi nel pomeriggio mi chiederà se siamo soddisfatti del nuovo vescovo… che domande!). Finalmente andiamo in bagno: probabilmente io l’unico laico in coda (i vescovi sono almeno due, tra cui Mansueto Bianchi… e ve lo raccomando il gabinetto con le loro vesti purpuree!). Per non perlare delle perle dei prelati: “l’Umanesimo della prostata”! E comunque mi rendo conto di quanto la lettura di Segno mi abbia deviato: mi fa più effetto incontrare in carne ed ossa Miano, Truffelli e Paola Bignardi che non vedere almeno tre volte al giorno Scola, Bagnasco e Nosiglia…I vescovi siano pastori. Sia questa la loro gioia. Siano sostenuti dai fedeli come quel vescovo sudamericano nel metrò che non poteva cadere perché sorretto sempre dagli altri passeggeri. Opzione preferenziale per i poveri: quante opere di bellezza a Firenze a servizio della povertà! La chiesa madre, è come nell’ospedale degli innocenti, colei che detiene la metà della medaglia per tutti i suoi figli. Infine, forte invito all’impegno politico e sociale, al dialogo con tutti, al protagonismo dei giovani, all’uscita, alla gioia e all’umorismo, al discernimento sinodale, a livello diocesano o regionale, per attuare le priorità dell’EG individuate a Firenze (della serie: datevi una mossa, cambiate e riformate, e lavorate insieme, cari vescovi!).

papa-francesco-messa-firenzeDopo pranzo, e fatta man bassa di cantuccini per reggere fino alle 21, ci imbarchiamo sulle navette per andare allo stadio, gremitissimo. Quanta gente a vedere la Fiorentina! Cinquantamila persone stipatissime (la ressa per la comunione ha sfiorato il pestaggio, evitato solo dal buonsenso di tutti), ma un clima di grande raccoglimento: pur presi dalle foto, dai filmati, dai fazzoletti da sventolare, dalla scomodità dei posti, era fortissima la consapevolezza di quanto fosse bello essere lì, popolo di Dio stretto intorno ai suoi presbiteri, ai suoi vescovi, al suo papa (forse anche aiutati dalla grande fortuna di essere di fianco al coro, proprio di fronte all’altare, sugli spalti, con vista panoramica, all’ombra in una giornata caldissima). E poi quanto casca a pennello la ricorrenza liturgica (come già ieri l’anniversario della Dedicazione della chiesa madre di tutte le chiese dell’Orbe dava un senso particolare al convenire di tutta la Chiesa italiana): nella memoria del santo papa Leone, accogliamo la visita del suo successore e il Vangelo proprio della memoria (“la gente, chi dice che io sia?”) ci viene illustrato da Francesco come contenente le due linee fondamentali per l’Umanesimo innestato in Cristo Gesù (bisogna essere attenti e ascoltare ciò che la gente dice e pensa, perché altrimenti non si può annunciare, ma anche andare controcorrente). A un papa molto grato per l’affetto (leggi: le ovazioni) manifestatogli e che visibilmente lo hanno disteso rispetto ad una mattinata in cui il peso degli scandali vaticani gli si leggeva nelle rughe, risponde il vescovo di Firenze, citando quattro esempi luminosi nella città di Firenze: oltre a don Giulio Facibeni, a Giorgio La Pira e al vescovo Dalla Costa, don Milani, di cui ricorda la sofferta ma fedele lealtà (grazie Signore! Finalmente!), e qui partiamo con l’applauso extra. Uscendo, incontriamo l’arcivescovo metropolita di Modena-Nonantola, che continuiamo a salutare con un “Ciao, don Erio” (e difatti, don Erio è rimasto: lo becco, più tardi in Fortezza, in un angolino, a togliersi uno ad uno i paramenti episcopali per vestirsi da prete) e saliamo sulla prima navetta, proprio di fianco a Mons. Bianchi.

le-cinque-vieGiuseppe ci presenta: “sono due giovani dell’AC”. “E com sta l’Azione Cattolica? Siete contenti del nuovo vescovo? Quando arriva? Che aria si respira?” ci chiede. “Di novità!”. Con vescovi seduti a destra e a sinistra e noi in piedi sull’autobus, ci sentiamo come quel vescovo nel metrò… ma qui sono i pastori a doverci sostenere!

E poi, visto che ci siamo riposati troppo, in Fortezza, “Come la penso io sulle cinque vie”, con don Mauro Pergola (andare), Vincenzo Morgante (annunciare), Valentina Soncini (abitare), Alessandro D’Avenia (educare: brillante ma don Matteo Prosperini non gli abbuona quel “il mio Gesù”…) e Jean-Paul Hernandez (trasfigurare). Docce, cena e passeggiata in centro per riaccompagnare Silvia da sua zia.

Bilancio: temevamo che fosse ancor più frenetica… ma a quanto pare ai volontari un po’ di terrorismo piace!
Buonanotte e VIVAT FRANCISCUS.

soglia

Giorno 1 (9/11/2015)
Ammirare i bellissimi paesaggi autunnali di qua e di là dall’Appennino. Passare dalla soleggiatissima Bologna alle nuvole della Toscana. Girare all’ora di pranzo per Firenze alla ricerca dell’albergo e chiedersi perché gli sconosciuti delegati che si incontrano abbiano così tanto una faccia da delegati.
Doversi abituare come a qualcosa di normale al fatto di avere nell’atrio dell’hotel tre o quattro vescovi in vesti superufficiali che chiacchierano, o al fatto di incontrare contemporaneamente decine, tra vescovi e cardinali (senza contare preti, monsignori, suore e frati), per le strade di Firenze.

La processione dalla Basilica di Santo Spirito fino al Battistero e a Santa Maria del Fiore. Il discorso introduttivo del vescovo Betori, con lettura drammatizzata di Luzi (in cui è la Cattedrale stessa a parlare di sé e della sua storia) e di Rilke. Grandissimo il sindaco Dario Nardella, che cita Péguy (“la speranza è la più importante delle virtù teologali”… per ragioni che ricordano molto Il diario di un curato di campagna di Bernanos), l’Evangelii Gaudium e la lettera di Giorgio La Pira a Paolo VI, per arrivare a dire che il cuore di Firenze è piazza del duomo perché ospita un edificio che è segno dell’apertura al trascendente, senza cui non può edificarsi la socialità della comunità civile: tutti, credenti di ogni fede e non, non devono dimenticare mai che l’uomo è un essere verticale (e ne avrei ancora da aggiungere, ma non ricordo con esattezza e il tempo stringe).

Vespro anticipato dal bellissimo lucernario (quella famosa cosa di cui ti parlano i conoscenti milanesi), e cantato, reso solenne non da una solennità fredda e formale, bensì dal senso della grandezza del momento e dalla coralità con cui tutto il popolo di Dio in Italia si è riunito a pregare (dai vescovi alle suore, dai laici ai cardinali, dai frati ai monsignori): riscoprire la genuinità del senso di essere Chiesa. Prolusione di Nosiglia che (purtroppo) riassume in 45 minuti tutti i temi che il Convegno dovrebbe toccare.vescovo-zuppi
Cenare con Scola nel tavolo di dietro. Essere interrotti a metà cena dalla voce “renziana” di un volontario che ci illustra quanto frenetica e massacrante sarà la giornata di domani: potrete entrare in Cattedrale dalle 6.30 ma non potrete uscirne, dopo le 8 non entrerà più nessuno, resterete lì cinque ore, i due bagni non saranno utilizzabili, ma potrete farvi accompagnare dal personale della sicurezza, se bendisposto, nei bagni mobili esterni, sarete scannerizzati dalla polizia prima di entrare, per il pranzo dovrete precipitarvi, in un turbinio di navette e volontari, alla Fortezza da Basso e contemporaneamente (?) andarne via per entrare allo stadio, muniti di invito (il vostro badge non basterà!), dove rimarrete altre cinque ore, anche perché difficilmente il papa potrà essere puntuale, dato che verrà portato (quasi suo malgrado) a destra e sinistra in giro per la città, e poi dallo stadio, senza pestarvi, dovrete recuperare le navette dove vi hanno lasciati per ritornare alla fortezza e lì lavorare fino alla cena delle 21… aiuto!!!
Il mio compagno di stanza, ex presidente dell’AC di Pinerolo, che vuole abbracciarmi quando scopre che sono in équipe ACR, perché nella sua diocesi (dove a suo tempo l’associazione fu soppressa) non riesce a farla partire.

Il foto diario di Ilaria